Considerazioni sull’armonia e altri equilibri
Sono ormai passati alcuni anni da quando abbiamo cominciato questo piccolo viaggio al centro della Precisione e dell’Equilibrio dinamico. Dopo una lunga pausa dovuta a tanti accadimenti durante il 2020, riprendiamo il nostro percorso alla scoperta di persone e storie che a vario titolo hanno saputo interpretare questi concetti così cari alla nostra filosofia aziendale.
Quello che vi presentiamo oggi è un personaggio raro, che ha dedicato la sua vita allo studio e alla valorizzazione del patrimonio musicale tradizionale della sua terra d’origine, le Marche, contaminandolo con esperienze di altre culture con cui si è confrontato nel suo percorso ininterrotto di ricerca in giro per il mondo. Nato e cresciuto nella patria della fisarmonica, dopo gli studi al DAMS, compiuti sotto l’illuminata guida di Roberto Leydi, che considera “grande salvatore di cervelli”, ha deciso di iniziare a suonare l’organetto diatonico, lo strumento della tradizione musicale popolare delle Marche. Ama definirsi artigiano-artista del terzo millennio, figura in cui confluiscono, come in certe corporazioni medievali di mestiere, saperi tecnici e valori spirituali capaci di polarizzarsi verso un unico scopo: la ricerca della Conoscenza e la realizzazione dell’essere. Sono occorsi anni, passati a documentare e catalogare la musica degli organettisti tradizionali, per capire che il suo scopo non poteva esaurirsi nella pur meritoria opera di salvaguardia di questo patrimonio culturale e antropologico: “Quello che sentivo dentro era un forte desiderio di imparare da loro a suonare l’organetto, apprendere il loro repertorio e le loro tecniche esecutive. Il fatto di essere diventato un loro discepolo, da semplice studioso quale ero, mi ha dato così tanto artisticamente ed umanamente. Da loro ho imparato la strada giusta per fare le cose e capire le cose facendole”. Alla musica marchigiana, oltre a vari saggi ed articoli, ha dedicato anche due lavori discografici: uno più visionario (Marchigianista del 2011), uno più tradizionale (Lu.Me. Vivo del 2015, in duo con il cantante popolare Marco Meo).
Come musicista, dopo aver collaborato tra gli altri con Peppino Principe, Rossana Casale, Roberto Paci Dalò, Giovanni Seneca, Moni Ovadia, Antonio Rivas, attualmente è impegnato in solo e con varie formazioni proponendo un repertorio di sue composizioni originali ispirate alla tradizione, di brani tradizionali e di brani di musica antica rielaborati.
Negli ultimi anni, dopo aver acquisito da un artigiano un organo portativo realizzato in modo filologico, strumento uscito dalla pratica musicale già agli inizi del XVI secolo e giunto fino a noi solo grazie all’iconografia, gira il mondo suonando come un giovane e avventuroso troubadour. Per dirla con parole sue: ”Cammino come il Matto dei Tarocchi. L’Arcano senza sequenza. Mi accompagna non il morso del rimorso, raffigurato dal cane che morde alle caviglie. Adesso sono in viaggio accompagnato da uno strumento insieme umano e divino. Misterioso, iconografico, celestiale, aereo e tuttavia fisicamente tangibile. L’ho recuperato traendolo dal tempo eterno della storia. È la mia scala che punta verso il cielo, lo strumento-crogiuolo che raccoglie in sé tutti gli altri. Quest’antico organetto è una Fenice che rinasce”. Come didatta insegna stabilmente organetto diatonico presso la Civica Scuola di Musica Paolo Soprani di Castelfidardo. Tiene regolarmente laboratori di danze tradizionali e conferenze sulla musica e la danza tradizionale sia in Italia che all’estero. Nel 2018 è stato insignito del prestigioso titolo di “Ambasciatore della Fisarmonica” dal comune di Castelfidardo. Per Paradisi, Roberto Lucanero ha eseguito per la prima volta, durante la presentazione dell’Integrated Reporting 2020, un brano presente in un’antica partitura del XVII secolo, da lui stesso rinvenuta negli archivi storici della Biblioteca Planettiana di Jesi. Dal manoscritto 411 del fondo manoscritti Pianetti “Correnti, gagliarde e balletti” che contiene vari brani di autore ignoto, è infatti tratto “Aria Todesca”, che l’etnomusicologo marchigiano ha liberamente rielaborato e adattato per organetto. La musica originale, composta per Paradisi, è diventata anche la colonna sonora del video artistico realizzato per la nostra azienda da Davide Caporaletti e dmpconcept.
VERSIONE INTEGRALE DELL’INTRODUZIONE ALL’INTEGRATED REPORTING PARADISI 2020 DEDICATO ALL’ARMONIA*
Chiedere ad un musicista occidentale di formazione accademica di dare una definizione di armonia potrebbe rivelarsi un’esperienza deludente per non dire concettualmente pericolosa. Molto probabilmente si riceverebbe come risposta che l’armonia è la scienza che studia la combinazione simultanea dei suoni. Ovvero che si deve parlare di armonia quando si producono più suoni contemporaneamente e invece di melodia quando si producono suoni singoli in successione. Almeno tre suoni eseguiti contemporaneamente formano un accordo e l’armonia sarebbe appunto lo studio della costruzione degli accordi e del loro concatenamento.
Se diamo per buona questa definizione, Giacomo Leopardi all’inizio del Passero solitario ci apparirebbe quasi naïf in quello che sembrerebbe un uso improprio, dal punto di vista teorico musicale corrente, della parola armonia. Il recanatese infatti scrive:
D’in su la vetta della torre antica,
passero solitario, alla campagna
cantando vai finché non more il giorno;
ed erra l’armonia per questa valle.
Se il passero è solitario nel suo canto alla campagna deve emettere per forza una nota dopo l’altra quindi ad errare per la valle dovrebbe essere la melodia non l’armonia! Potremmo per un attimo pensare ad una semplicissima licenza poetica ma che di ciò non si tratta ce lo fa capire lo stesso Leopardi nello Zibaldone scrivendo che la melodia è “l’armonia successiva de’ tuoni, o vogliamo dire l’armonia nella successione de’ tuoni”. A completare il quadro, nello stesso scritto il poeta parla della musica popolare e della musica antica in contrapposizione alla musica degli “intendenti” del suo tempo, con le sue regole ed i suoi principi fissi ed invariabili. In questo confronto “i moderni musici” hanno la peggio e vengono definiti, tra l’altro “la feccia della feccia delle generazioni”!
Siamo giunti dunque al centro della questione: dal punto di vista musicale il termine armonia ha assunto significati diversi a seconda delle epoche.
Pitagora scoprì l’esistenza del profondo rapporto tra la musica e la matematica e studiando i fenomeni fisico-acustici elaborò un modello metafisico di interpretazione razionale del creato in cui il macrocosmo-universo e il microcosmo-uomo sono legati analogicamente in un’unica cosmologia musicale, in un’unica armonia. Questi principi, pur evolvendosi nel corso dei secoli in particolare nell’incontro con il Cristianesimo, attraversarono tutto il Medioevo fino al Rinascimento. A questo punto il concetto di armonia si va a restringere in maniera drastica divenendo via via sempre più legato al mondo della musica in senso stretto e non più a quello della musica del creato! L’armonia non riguarda più quindi l’accordo tra le varie orbite celesti (rappresentate dai cori angelici) e l’uomo ma più semplicemente, oserei dire più banalmente, l’accordo tra più suoni eseguiti contemporaneamente. L’armonia non è più quindi l’espressione di un equilibrio metafisico in cui si sviluppano dinamicamente più melodie su piani diversi di esistenza (una di queste è quella cantata dal Passero Solitario di Leopardi!) ma diventa l’espressione di un equilibrio acustico tra più suoni emessi contemporaneamente nel nostro statico e pesante mondo fisico, umano. Di questa metamorfosi del concetto di armonia, conseguenza e testimonianza è proprio la contrapposizione nella musica occidentale tra monodia/modalità/oralità, caratterizzanti la musica antica e tradizionale, e polifonia/tonalità/scrittura tipiche della musica dal Rinascimento alla fine dell’Ottocento. Come scrive Jean Thamar esaminando queste due tipologie musicali e filosofiche a partire da due esempi presi dal repertorio liturgico, “un canto gregoriano sembra riempire l’universo mentre una messa orchestrata non riempie che la chiesa”.
In oriente le cose sono andate diversamente e, grazie a ciò, all’inizio del secolo scorso alcune istanze metafisiche tradizionali sono rientrate nella nostra cultura grazie a personaggi straordinari come G.I. Gurdjieff e il maestro Sufi Hazrat Inayat Khan. Con una definizione di armonia di quest’ultimo vi lascio, sicuro del fatto che tale definizione non sarebbe dispiaciuta neanche a Leopardi.
“L’armonia è la sorgente della manifestazione, la causa della sua esistenza e il tramite fra Dio e l’uomo.
La pace che ogni anima si sforza di raggiungere, che è la vera natura di Dio e il traguardo finale dell’uomo, non è altro che la conseguenza dell’armonia; ciò dimostra che senza armonia tutte le realizzazioni della vita sono inutili. Ed il raggiungimento dell’armonia viene chiamato cielo ed è la sua mancanza che viene chiamata inferno. Solo colui che ne è in possesso è atto a capire la vita – e colui che è privo di armonia è stolto malgrado tutte le altre possibili conoscenze.
Il Sufi attribuisce grande importanza al raggiungimento dell’armonia, ritenendo che la luce sia per gli angeli e le tenebre per il diavolo – ma che l’armonia sia necessaria all’essere umano per mantenere un equilibrio nella vita”.
*Per ragioni editoriali la versione del testo presente sul Report è stata ridotta.