PRECISIONE E ACCURATEZZA NEL COLPIRE IL BERSAGLIO
Poi, appena un attimo per raccogliere i sensi e ci si accorge di essere attorniati da figure velate dal trascorrere dei secoli, ricoverate nell’attesa di riacquistare antichi fulgori.
Basta volgere lo sguardo in qualunque direzione all’interno della bottega per capire che ci si trova in un luogo sospeso nel tempo dove, per dirla con il vecchio Charles (Baudelaire), tutto è “ordine e beltà, lusso, calma e voluttà”.
Opere d’arte e dipinti di ogni epoca, tanto basta a farci accusare confusione, vertigini e tachicardia. Un inizio di sindrome di Firenze, pure se siamo a Urbino.
Isidoro Bacchiocca e il figlio Matteo ci salutano con tono cordiale, ridestandoci dal momentaneo torpore.
Dissimulando la sorpresa per un così repentino cambio di stato, tentiamo di focalizzare le idee sullo scopo della nostra visita e formuliamo qualche concetto scomposto.
Per fortuna il giovane Matteo ci trae dall’impaccio, entrando subito in medias res sull’importanza della precisione nel restauro di opere d’arte.
La precisione, il filo d’Arianna che ci condurrà attraverso questo blog a scoprire tanti personaggi straordinari che di questo modus operandi hanno fatto il loro stile di vita.
Eccoci dunque presso la ditta di Restauro e Conservazione Beni Culturali Bacchiocca di Urbino, la prima tappa di questo viaggio virtuale ma non troppo.
C’è un trait d’union che lega questo laboratorio a Paradisi ed è il recente restauro della tavola del Perugino “Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Battista, Ludovico, Francesco, Pietro, Paolo e Giacomo Maggiore“ normalmente conservata nella chiesa di Santa Maria delle Grazie di Senigallia e protagonista, lo scorso anno, della mostra “La Grazia e la Luce: La pala di Senigallia del Perugino. Armonia e discordanze nella pittura marchigiana di fine Quattrocento“. Operazione fortemente voluta, sostenuta e finanziata dall’Accademia della Tacchinella, un gruppo di illuminati imprenditori marchigiani che annovera tra i suoi membri lo stesso Sandro Paradisi.
Torniamo senz’altro indugiare al tema della precisione, che è appunto il motivo per cui abbiamo chiesto di incontrare questi maestri restauratori.
Matteo e Isidoro, alternandosi in un contrappunto perfettamente armonico d’interventi, rispondono alle nostre domande disegnando il quadro di un’attività in cui la precisione ha un ruolo evidentemente centrale, ma deve essere sempre accompagnata dall’accuratezza.
La differenza tra precisione e accuratezza parrebbe molto sottile. Come si può stabilire dove finisce l’una e comincia l’altra?
Matteo: Più che di differenza forse è il caso di parlare di complementarietà di questi concetti. Potremmo usare la metafora del tiro con l’arco: ogni freccia è paragonabile a un intervento (analisi scientifica, chimica, disinfestazione, pulitura, consolidamento, etc…).
Non basta che ogni freccia raggiunga il bersaglio con precisione, ma occorre che i centri siano raggruppati in una rosa minima, esattamente come le singole fasi del restauro oltre che essere precise devono tendere al medesimo scopo (accuratezza). La precisione non è perfezione (che non esiste). È metodo, forma mentis, visione globale delle cose.
Guardando uno dei tanti dipinti provati dal tempo, che campeggiano nelle pareti del laboratorio in attesa di restauro, viene spontaneo chiedersi da dove si cominci. Qual è l’approccio di fronte a un’opera per capire di che tipo di interventi necessiti?
Isidoro: Occorre scomporre ogni problema prima di cominciare il lavoro; nella fase organizzativa ci si costruisce una visione della globalità dell’intervento cercando di prevedere per tempo ciò che potrebbe accadere (lungimiranza).
Matteo: Il primo obbiettivo cui mirare quando si comincia un restauro è la salvaguardia dell’opera perché, a differenza che in altri lavori, si è in presenza di un unicum non ripetibile.
Proprio per l’unicità dell’opera, come si fa a stabilire quanto e come intervenire senza rischiare di comprometterla o danneggiarla?
Isidoro: L’Interazione manuale con l’opera avviene in particolare sulle lacune (le parti da restaurare) con interventi il più possibile mirati (che possono essere riconoscibili o mimetici).
Il limite si raggiunge con l’indagine (distruttiva su una piccola sezione) per ottenere dati oggettivi precisi usando la tecnologia disponibile per la massima precisione delle analisi.
Si eseguono saggi per approssimazioni successive, come il test di Feller per trovare il giusto solvente per la pulitura di un’opera policroma.
Matteo: Occorre sempre rispetto totale della materia e della storia, il che significa, tra l’altro, profonda conoscenza del metodo di lavoro, delle tecniche e dei materiali.
Si tende a usare pigmentazioni reversibili (che devono poter essere rimosse).
La precisione, infine, è massima nel togliere materia (qualora occorra rimuovere parti danneggiate o precedenti restauri), per poi restituire unità cromatica e armonica all’opera.
Certo è che il compito di spiegare a un profano (per di più ancora convalescente dall’iniziale sindrome di Stendhal) tecniche e operazioni tanto precise e accurate è opera improba e siamo consapevoli di aver colpevolmente banalizzato in una rozza sinossi quel che meritoriamente Isidoro e Matteo hanno tentato di chiarirci nel corso di questa breve intervista.
Una cosa, però, l’abbiamo capita ed è che i restauratori sono i veri testimoni della precisione di un’opera perché nessuno, critico o esperto d’arte che sia, come loro può percepirne e penetrarne con altrettanto grado di approfondimento tutti i dettagli, anche i più reconditi.
Ciò detto ci accomiatiamo dagli squisiti Bacchiocca e prendiamo congedo anche da Voi lettori del blog che avete avuto la pazienza e la cortesia di scorrere fino in fondo queste righe, con l’auspicio di condividere al più presto una nuova tappa di questo viaggio nell’universo della precisione.