SUL FILO DEL DISCORSO
Nulla è per caso. Almeno così ci è parso quando, dopo aver contattato quella splendida persona che è Andrea Loreni, forse il più noto tra i funamboli italiani, abbiamo scoperto che di lì a pochi giorni nelle sale cinematografiche di tutta Italia sarebbe stato proiettato The walk. Il film, per chi non lo avesse ancora visto, è dedicato alla più grande impresa compiuta nell’agosto del 1974 da Philippe Petit: la traversata delle Torri Gemelle del World Trade Center su un cavo d’acciaio senza alcuna protezione. Certo, la trasposizione cinematografica di Robert Zemeckis risente un po’ di quell’eccesso di spettacolarizzazione propria delle produzioni americane, lasciando poco spazio al percorso interiore che sottende il lavoro e la vita di questo personaggio straordinario. È difficile anche solo intuire, per chi non abbia mai solcato una sottile corda tesa sul vuoto, di quali altezze sia capace un funambolo. Solo in parte ci viene in aiuto l’avvertimento di Petit, enucleato dal suo Trattato del Funambolismo per cui “Il filo non è ciò che s’immagina. Non è l’Universo della leggerezza, dello spazio, del sorriso. È un mestiere. Sobrio, rude, scoraggiante. E chi non vuole intraprendere una lotta accanita di sforzi inutili, pericoli profondi, trappole, chi non è pronto a dare tutto per sentirsi vivere, non ha bisogno di diventare funambolo. Soprattutto, non lo potrebbe”. Ma c’è ancora di più. Qualcosa che esula dalla pura tecnica, dal perfetto controllo del corpo e dall’esercizio inesausto. È la totale assenza di horror vacui, il dominio metafisico del vuoto e della solitudine: “Prigionieri di un brandello di spazio, combatterete allo stremo delle forze misteriosi elementi: l’assenza di materia, l’odore dell’equilibrio, la vertigine dei lati molteplici e il cupo desiderio di tornare a terra, tutto questo sarà schiacciante. Tale vertigine è il dramma della danza sul filo, ma di quello non ho paura […] Non ho mai paura sul filo, sono troppo occupato”.
A occhio e croce, una lezione di vita. Non poi troppo distante da quei concetti che hanno permeato i contenuti del nostro blog, pur declinato in domini assai diversi. Precisione ed equilibrio dinamico come stile di vita, coraggio e continua capacità di adattamento. È proprio per questo, per aiutarci a seguire il filo che ci ha condotti sin qui, che abbiamo interpellato Andrea Loreni, il filosofo funambolo italiano. Per tentare di cogliere dalla viva voce di un protagonista quelle profondità di cui neppure la nostra pur fervida fantasia sarebbe altrimenti capace. Mai scelta è stata più appropriata. Basti pensare che, dopo aver accettato con immediato entusiasmo (questo è il segno della grandezza della persona) la nostra breve intervista, ci ha invitato a un evento dal tema “Dove zen e funambolismo si incontrano, parole sul luogo d’origine dell’arte”.
Andrea, data la fortuita coincidenza con l’uscita di The walk nelle sale, non possiamo esimerci dal chiederle se ha avuto occasione di visionare il film di Robert Zemeckis. Che ne pensa?
Non ho visto il film, ma ho letto il libro da cui è tratto. La cosa più interessante, per me, non è la traversata in sè, ma il fatto che Petit si sia dato quella possibilità, che abbia visto tra le due torri un luogo dove camminare.
Leggendo le opere di Philippe Petit, si coglie qualcosa di più che una semplice inquietudine umana, un amore per il rischio fine a se stesso. Il filo appare come un percorso interiore, una via metafisica. Sono solo suggestioni da profani?
Io non amo il rischio, lo scelgo: il rischio è una categoria esistenziale, dal momento in cui esistiamo corriamo il rischio di non esistere più. Possiamo fare finta che non sia così, pensare che ogni rischio sia controllabile o azzerabile, e vivere un’esistenza non autentica oppure sceglierlo e vivere anche questo aspetto del nostro essere. Sul cavo io trovo una via per l’assoluto, prima di salirci lascio alle mie spalle il mio passato, il mio futuro, che mi determinano nel mio aspetto relativo e vivendo il presente accetto di perdermi nel vuoto. A volte capita che in quel vuoto incontri un momento di equilibrio, un momento di perfezione.
Lei viene definito, o si definisce, un filosofo funambolo. Quanto un dominio influenza l’altro?
La dialettica filosofica mi aiuta a spiegare il vissuto funambolico, a interpretare il simbolo rappresentato dalle mie camminate. Dall’altra la filosofia ha in comune con il mio essere funambolo la ricerca della verità, l’amore per la conoscenza, ma le vie prese sono molto lontane. Camminare sul filo è una verità fattuale, che non ha nulla a che vedere con le speculazioni filosofiche occidentali: sul cavo non penso o indago la verità, sono la verità. Questa per me è la verità dell’arte e di ogni atto dove fare ed essere coincidono, dove l’essere è così denso che non lascia spazio ad altro se non a quello che c’è, niente pensieri sul prima o sul dopo, solo un presente profondissimo.
Per la filosofia occidentale, a partire da Aristotele, il vuoto ha un’accezione sostanzialmente negativa. Per i buddisti, invece, il vuoto non è assimilabile al nulla. Ha una sua realtà. Come percepisce il vuoto un filosofo funambolo?
Il vuoto per me è una possibilità. Quando guardo il vuoto sotto di me ho paura, ma sono abituato a quella paura e la lascio essere, so che se accetto di perdermi in quel vuoto guadagno l’assoluto. Il vuoto è per me la matrice che sta sotto le singole menti, è quella materia a cui attinge l’arte per poter palare a tutti.
Philippe Petit sostiene che i limiti esistono soltanto nell’anima di chi è a corto di sogni. Qual’è il suo senso del limite?
Durante i miei laboratori suggerisco a chi è sul filo di stare ancora un po’ sul cavo prima di cadere, esplorare quella zona in cui penso di non poter più stare senza cadere, se la conosco piano piano imparo a gestirla, a trovarmi a mio agio anche in una zona che prima consideravo critica, pericolosa. Un grado alla volta sposto le mie possibilità di continuare a stare sul cavo.
Per finire, veniamo al filo conduttore del nostro blog. A che cosa pensa se le dico Equilibrio dinamico? E Precisione?
Precisione mi fa venire in mente i miei piedi che camminano su un sentiero largo 16 millimetri. Equilibrio dinamico lo associo a ricerca. La camminata perfetta è un susseguirsi di 3600 momenti di equilibrio, quella in cui sono immobile e sono anche in ogni luogo, per il resto è perdita e ricerca dell’equilibrio ogni secondo.
Per chiudere, a quali progetti funambolici sta lavorando oggi Andrea Loreni?
L’ultimo progetto artistico e TRK#1 una produzione dei nogravity4monks, collettivo artistico di recente formazione, in cui suono il cavo: grazie ad un pick up le vibrazioni del cavo vengono trasdotte in suoni, e io creo la base sonico-emotiva con cui interagiscono due chitarre una viola e un violoncello. I miei progetti solitari invece riguardano il Giappone, vorrei attraversare il lago del tempio Sogenji a Okayama, dove sono già stato più volte per approfondire la meditazione zen e girare un documentario dell’evento, il cui tema sia il luogo dove zen e funambolismo si incontrano.
Un grazie sincero ad Andrea Loreni per averci condotto per mano nella piccola traversata alla ricerca del senso vero del nostro lavoro.